Da oggi Cuba si prepara a vivere una settimana di lutto nazionale. Le ceneri di Fidel Castro percorreranno l’isola, da Oriente a Occidente, toccando i luoghi che hanno scandito la storia della rivoluzione. Fino a raggiungere Santiago de Cuba dove domenica 4 dicembre, si svolgeranno i funerali di Stato e le ceneri riposeranno in un mausoleo. Nell’Isola, intanto, in segno di lutto nazionale, i locali sono chiusi, le partite di baseball sospese, l’alcol e la musica vietati. Sulla figura di Fidel Castro e sul futuro di Cuba, Luca Collodi ha raggiunto a L’Avana il politologo Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia Politica all’Università ‘Sophia’ di Loppiano (Firenze) e collaboratore della Chiesa cubana per la formazione dei laici impegnati nel sociale.
R. – Quello di Fidel Castro è stato un ruolo di grandissima importanza, prima nel contesto latinoamericano e delle due Americhe e poi mondiale, dato che tutto il mondo viveva una contrapposizione tra due sistemi e Cuba – pur essendo estremamente piccola, una terra ridotta – ha avuto un ruolo importante dal punto di vista ideologico.
D. – Per alcuni, Castro è stato un dittatore, per altri un eroe…
R. – Sì, è vero. Per cercare di dare un’idea di quello che è stata la rivoluzione, posso ricordare un aneddoto. Una suora colombiana, suor Rocio, che incontrai ad Haïti, mi disse che era a Cuba nel momento in cui entravano a L’Avana i barbudos, cioè i rivoluzionari, e aveva schierato – lei era in una scuola cattolica – tutti i bambini con la bandiera cubana per salutare i rivoluzionari. Quindi, il regime che veniva abbattuto attraverso l’azione di Castro e dei suoi, era un regime inviso a tutta la popolazione, perché sostenuto dagli Stati Uniti d’America che allora avevano una lunga tradizione di sfruttamento coloniale nell’Isola. Tutto ciò che non era consentito alla mafia negli Stati Uniti, lo si poteva fare a Cuba. Quel tipo di regime era quindi insostenibile e forse possiamo dire che quella rivoluzione, in qualche modo, doveva essere fatta. E divenne il simbolo, anche, di una possibilità per Davide di sconfiggere Golia.
D. – La morte del ‘líder máximo’ non era inattesa. Cosa succederà ora?
R. – Certamente c’è attesa per come potranno andare le cose. Dobbiamo dire che in questi ultimi anni la presenza di Raúl Castro, il fratello, che viene dall’esercito, può garantire l’adesione e la continuità da parte delle Forze armate che sono sicuramente l’organizzazione più strutturata che esista a Cuba in questo momento. Resta, quindi, questa alleanza tra politica ed esercito che garantisce una certa stabilità. Bisogna vedere stabilità per che cosa. Cuba si è aperta e credo che si sia preparata anche a gestire la situazione dopo la morte di Fidel e dopo il ritiro di Raúl, ritiro che è già stato stabilito ed è abbastanza prossimo. Il problema è noto: si tratta del passaggio di un Paese a economia socialista ad un’economia di tipo diverso, perché l’economia socialista non ha dato buona prova di sé in nessuno dei Paesi nei quali è stata installata. Poi c’è la questione dell’embargo, stabilito nel 1960 dopo che le imprese cubane furono nazionalizzate: gli Stati Uniti risposero a questo atto del governo di Cuba con l’embargo, con la chiusura. L’embargo è stato sostanzialmente inutile perché in tutto questo periodo a Cuba hanno continuato a entrare le merci, tutto ciò che, chi aveva potere e denaro, poteva comunque assicurarsi, mentre venivano danneggiati i poveri. Ma l’embargo è stato anche una scusa per dire: le difficoltà noi le viviamo perché esiste l’embargo, mentre probabilmente – come ci dice anche la storia degli altri regimi socialisti – le difficoltà sono intrinseche al sistema, cioè la privazione della libertà di poter scambiare i beni che si producono.
D. – I media quanto hanno contribuito, nel bene e nel male, a costruire la figura di Castro?
R. – Sono stati importantissimi fin dall’inizio, fin da prima dell’esito vittorioso della rivoluzione. Il punto di riferimento più importante è proprio un’intervista per il “Times” fatta da Herbert Lionel Matthews: la firma di Castro sul testo a mano dell’intervista è del 17 febbraio del ’57. In questa intervista per il “Times” Castro presenta se stesso, non come comunista ma come un nazionalista, un anti-imperialista, che vuole liberare il suo Paese da un regime corrotto e un democratico. Questo è l’inizio della costruzione di una figura di Castro che poi cambierà. La stessa stampa statunitense, che è a favore di Castro durante la rivoluzione, poi si trova a fare i conti con le esecuzioni sommarie che seguono immediatamente la presa del potere e con l’impostazione di un regime che certamente non rispettava le formalità democratiche.
D. – L’elemento religioso che ruolo ha avuto in Castro?
R. – Sappiamo che ha avuto un’educazione religiosa; ha avuto una buona formazione; questo si può dire, perché lì, nel collegio dei Gesuiti a Santiago, si dava una buona formazione. Poi, su quello che lui creda o non creda, non si può entrare. Certamente, in qualche modo ha avuto degli appoggi di alcune figure della Chiesa quando ancora stava combattendo la sua rivoluzione. Il Santuario del Cobre, che è il Santuario della Virgen de la Caridad, che è la Patrona di Cuba, lo ha ospitato quando scappava. Poi le cose sono cambiate, perché nel maggio 1961 fu ordinata la chiusura di tutti i collegi religiosi e tuttora la Chiesa subisce molte restrizioni nell’Isola, anche se le cose sono andate progressivamente migliorando. E’ difficile pronunciarsi su processi che sono in corso. A mio parere, a Cuba c’è una possibilità di azione costruttiva che va colta fino in fondo. Penso che questo tipo di dialogo della vita, dialogo sulle cose che si possono realizzare, se fosse accompagnato anche da una maggiore decisione nell’apertura all’iniziativa privata da parte del governo, sia la strada da percorrere nel prossimo futuro dell’isola.